C'è una divinità delle feste, ne sono certa. Deve esserci: altrimenti non si spiega. Ormai ho troppi riscontri, troppe prove, ho verificato moltissime volte.
Vi siete accorti (mi rivolgo ai miei quattordici gentili lettori) vi siete accorti di come funziona un giorno di festa? un giorno a caso, dico, non per forza Natale. Può essere l'onomastico, il Santo patrono, qualunque ricorrenza.
La data si avvicina, ci si organizza, chi va da chi, ci vediamo, che mi metto, che regalo scegliamo, che cuciniamo, oppure dove andiamo a pranzo fuori.
Fin qui, tutto normale, salvo per la tensione che cresce, cresce (alla fine rimbomba nelle orecchie).
Poi, finalmente, ecco il giorno. Che bello, è buon tempo, c'è il sole. Ci sentiamo belli, sorridiamo, a noi, agli altri, in genere.
Poi, è un attimo.
E' il campanello, o è il citofono? E' il telefono fisso o il cellulare?
Boom, scoppia una granata in casa.
(Dove sono i sorrisi, i visi lieti? dove intristiscono i regali tutti invano infiocchettati? i cibi si raffreddano nei piatti, la tovaglia pende, afflitta, dal tavolo. Ma i cuori, i cuori: neri, sbattuti, sconvolti, e poi gli occhi lucenti, i visi di pietra, i movimenti meccanici, ripetuti, i passi avanti e indietro).
Deve essere una divinità come quelle degli Inca, degli Aztechi, tipo Quetzalcoatl.
Non si compie la festa senza sacrifici (vuole i cuori pulsanti, solo di quelli si sazia)