Oggi ho affrontato la cosa. No, l'ho incontrata. Ho traballato, quasi; ho barcollato. (Non posso chiamarla, perché mi fa ribrezzo, scusate). Ho avuto davanti, parlando banalmente con un estraneo, la certezza della concretezza delle sensazioni. Di come una sensazione sia una cosa, e come una sensazione ributtante sia una cosa ributtante. Non ero sola, ma in quel momento in un raggio di tre metri lo ero, e ho avuto contemporaneamente paura, sgomento, disgusto. Ho capito come possa essere violento il desiderio delle cose degli altri, ho letto l'avidità e la brama negli occhi opachi che avevo davanti. Ho percepito come fossi stata considerata inadeguata a beneficiare di ciò (non chissà cosa, proprio per niente, ma un qualcosa che avevo molto cercato, molto amato, molto curato). Ho tremato. E ho compreso la mia storica solitudine, che mi mette abitualmente al riparo da simili esperienze. Preferisco star sola, con i miei salici, i miei peschi piccini, le mie rose, la mia yucca.
Scusate se ho condiviso con voi, miei sedici lettori, questo vissuto brutale.
*(la cosa=l'invidia)