Quando è finito il tempo, occorre sparire. Proprio così: non "andare via" ma "sparire".
Ci vuole tecnica per far questo. Ma neanche tanta, in fondo. Attendere il crepuscolo (della vita) quando tutto si colora di lilla e di grigio rosato bluastro. Allora talune figure (io, ad esempio) iniziano a sbiadire, ad arretrare di qualche passo. Più indietro c'è l'ombra più spessa, dove nel blu si muovono i ricordi, come animaletti che si destano allora dal letargo. Indietro, indietro... ancora dei passi.
Qualcuno si gira di scatto: "Dov'è? era qui un attimo fa!" Qualcun altro rassicurante replica: "C'è, non vedi? è solo un po' più indietro" Invece è come se fosse su un nastro che scivola a ritroso, pian piano, nella foschia, nel buio, nella notte del tempo.
Sinceramente mi affascina il senso di fine, di oblio che respiro qui da molto tempo. Io non temo la fine, l'attendo senza rassegnazione perchè fa parte del gioco. Certo il modo di attendere o gestire il proprio passare la mano è diverso da persona a persona; tu sembra che abbia chiuso quasi tutto dentro, la tua scrittura sfiora soltanto la tua vita...ho letto a volte di chi hai amato, avuto accanto...qualche cenno alla tua professione di insegnante ma il grosso si trova già due passi indietro vicino al blu intenso. Non mi fa paura tutto questo, mi piacerebbe averti vicino e scrutare come si muore. Sì proprio così, come ti prepari alla sparizione, se lasci qualcosa a chi resta...ma in fondo cosa importa? Quando si viene avvolti dalla foschia molte cose diventano pleonastiche, inutili, il loro vero senso non lo puoi più raccontare a nessuno. Sai ho cercato per anni di scrivere a questo proposito ossessionato da una impotenza subdola continua. Ho capito che siamo universi chiusi, che le rare aperture non bastano, che i sorrisi di comprensione vera sono pochi, troppo pochi. Vorrei che nonostante tutto tu lo vedessi il mio sorriso.
RispondiEliminaSai, in realtà penso di non essere stata preparata alla morte. "Non c'è più" è troppo poco: la morte è stata per me la scoperta della brutalità della vita. Arrendermi a non vedere più i miei cari era troppo. Me ne andavo in giro con la mia pugnalata nel cuore, parlavo, lavoravo, sorridevo. E poi ce ne sono state altre ancora di pugnalate, l'ultima, definitiva, cinque anni fa. Il mio mondo, dov'era finito? volevo andare anch'io là, volevo rivederli, riascoltare le loro parole, le loro frasi fatte. Se non c'erano più loro, che erano la mia vita, il mio universo, non c'ero più nemmeno io. Così si inizia a morire: da questo pensiero. (Grazie per la vicinanza, per la comprensione. Non ci sono abituata.)
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