martedì 14 marzo 2023

Perfetto (più che perfetto)

 Chi si ricorda i tempi dei verbi latini? ecco, mi riferisco a quelli. Ovvero, noi usiamo le parole passato, trapassato (!) e loro invece li descrivevano come tempo perfetto e piuccheperfetto. Quanto avevano ragione. E come avevano indovinato l'esiguità della lama del presente, su cui ballonzoliamo, in bilico, sbagliando spesso e imbroccando poco.

Mentre adesso, in questo momento della mia storia personale, c'è un verbo che non oso: l'ottativo. Non mi auguro, non spero, non ipotizzo. Sgretolo minuti come cereali croccanti, e aspetto.

Mi rifugio nella perifrastica attiva e passiva e aspetto.

Scusate questo post "diverso": in questo momento sono così.





4 commenti:

  1. Ma questa differenza temporale e sostanziale è esattamente il motivo per cui il latino ormai non si studia più. Per non guardare la terribile caducità dei nostri tempi. Mia madre Ti avrebbe stretto la mano orgogliosa. Di chi è il magnifico quadro che hai pubblicato?

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    1. Il quadro è di Monet: La Spiaggia a Saint-Adresse. Grazie per le gentili parole: ogni tanto la ex studentessa del classico che sonnecchia in me si sveglia e dice la sua :-)

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  2. Attendere. La sera, come un esito di PET. Queste le nostre aspettative ora, non progetti, non sogni, non estati, ma "l'esiguità della lama sul presente" che prosciuga l'orizzonte e lo rende piccino.

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    1. Purtroppo è così. E l'aggressività del quotidiano, il mutare dei valori (il perdersi dei valori) contribuiscono a rimpicciolire il campo visivo. Ci si rinchiude in un guscio di tartaruga, guardando solo da una minuta finestrella.

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